2000/2010 – Lebbrosario

Chi conosce il lebbrosario di Ouagadougou non può separarlo dall’immagine indimenticabile di chi lo ha voluto e chi lo gestisce da più di 40 anni: Fratel Vincenzo.
Da anni Nasara per il Burkina aiuta Fratel Vincenzo nelle sue attività presso il lebbrosario, la casa delle vecchie, l’ospedale per i malati di AIDS (CANDAF).
A secondo delle necessità, organiziamo campi di lavoro per migliorare le condizioni di vita dei lebbrosi o delle vecchie. Per esempio nel 2009 abbiamo messo la luce nelle casupole dei lebbrosi, mentre negli anni precedenti avevamo pitturato l’interno delle stesse.

La nostra associazione, come molte altre, supporta finanziariamente le attività di Fratel Vincenzo come pure fornisce materiale e medicine. Ma quello che forse è più importante è che ogni anno alcuni di noi sono presenti al CANDAF e vi soggiornano per tutta la durata della loro missione. Personalmente io non rinuncerei a questo soggiorno presso il CANDAF per nessuna comodità di albergo o di B&B, perchè la “sola conoscenza” di chi ci vive, ed in particolare di Fratel Vincenzo, ed il condividere insieme la loro vita comunitaria vale il viaggio.

Quello che segue è tratto da uno speciale su Fratel Vincenzo sul sito dei Camilliani. Lo riporto nel nostro sito perchè è scritto da chi lo conosce da tanti anni e quindi lo descrive perfettamente.

Fratel Vincenzo lo si potrebbe dire “un barbone tra i barboni”, ma anche uno che si fa lebbroso tra i lebbrosi”, tanto si identifica con le loro ferite. Burbero, ma capace di una carezza. Prepotente, ma che si disfa il cuore in mille pezzi per una folla di “streghe” e sperduti mentali. Che rispondono sempre con un largo sorriso.

Basso, tarchiato, capelli bianchi lunghi e incolti, barba altrettanto lunga e altrettanto incolta: fratel Vincenzo Luise sembra uscito da un film d’avventura. E in effetti la sua vita è stata un’avventura, al servizio di Dio e dei fratelli più poveri.
Nato a Napoli, anzi a Spaccanapoli, da ragazzino era la disperazione di sua madre. Sempre in giro con una “banda” di altri ragazzini, prepotente, selvaggio “Ero un vero camorrista”, dice di sé ragazzo.
Poi l’incontro con il Signore, come sulla via di Damasco, improvviso. Un vero rovesciamento di tutte le prospettive. Decide di farsi camilliano. Nessuno crede che durerà nel suo proposito. “Invece eccomi qui, camilliano al cento per cento; in missione, come avevo desiderato”.
Lui non lo sa, ma è rimasto un camorrista, solo che oggi è un “camorrista di Dio”. Selvaggio, prevaricatore, simpatico, cuore aperto, mani bucate, sciatto nell’abbigliamento, la veste sempre di traverso, anche se è “legata” in vita da un’alta cinta di cuoio grezzo.
Il “magazzino dei miracoli”
Incredibilmente disordinato: nel suo studio-magazzino-rifugio, dove approdano tutti i disperati del mondo in cerca di cibo, di cure, di attenzione, sono ammassati alla rinfusa sacchi di riso e miglio, scatole di siringhe usa e getta, medicinali, zucchero, caramelle, carta, i più incredibili attrezzi, lampadine, penne a sfera, quaderni di scuola, strumenti musicali… Dal fondo buio degli angoli, può venir fuori di tutto! Il tavolo è così ingombro, che se deve scrivere qualcosa, prima deve fare spazio con una manata, buttando tutto per terra. Insomma, un disastro.
La sua fede è tumultuosa come la sua vita. Dice: “Chissà se il Signore mi accoglierà in Paradiso, quando morirò?”.
Avrebbe dei dubbi? “Sì, sono troppo fortunato! Posso fare troppe cose buone, qui, tra questa povera gente… di tutto dovrò rispondere… e che cosa risponderò? Cosa mi domanderà il Signore Gesù?”. Inutile rispondergli che il Signore non è un contabile, e che comunque la sua contabilità è ben diversa dalla nostra. Lui, fratel Vincenzo Luise, camilliano d.o.c., continuerà a pensarla come gli pare.
La giornata di fratel Vincenzo comincia presto al mattino, con la liturgia delle ore e la santa Messa, in comunità. Poi, dopo aver preso in piedi una tazza di caffè, schizza fuori, salta (letteralmente, nonostante età e stazza) sul suo fuori strada, carico di pop corn e di siringhe, di sacchetti di riso e di antibiotici, tutto buttato lì alla rinfusa, i vetri sempre coperti di polvere rossa, il pavimento sempre coperto di piccoli sassi e mercanzia varia raccattata qua e là… insomma un’auto assolutamente in linea con il guidatore. E guidando spericolatamente per le intasatissime strade di Ouaga, comincia il suo giro quotidiano.
Il mondo dei poveri
Prima va a controllare lo stato di avanzamento dei lavori della costruenda casa di accoglienza per ammalati di AIDS abbandonati. Dà istruzioni al geometra e al capocantiere, saluta un vecchio signore che sta lì, come se fosse la guardia, controlla che non abbiano rubato materiali e se ne va infilando giaculatorie con lo stesso tono che se fossero imprecazioni.
Ancora sul fuori strada e giù, verso un gruppo di case della periferia. “Qui ci sono ancora lebbrosi, e mica pochi.”. E lo sguardo dice quello che le labbra non pronunciano: “Che vergogna, vicino a Ouaga 2000!”. Entra nelle case, i bambini gli corrono incontro e gli si appiccicano alla veste. Gli adulti, più rispettosamente, lo salutano con sorrisi tristi. Fratel Vincenzo per tutti ha una battuta: chissà cosa capiranno questi del suo franco-partenopeo!
Medica piaghe che arrivano alle ossa, ferite antiche che non si rimargineranno mai.

Consola mamme preoccupate. Invita altre, troppo giovani per avere coscienza dei pericoli, a preoccuparsi della febbre, troppo alta, di un bimbetto. “Torno nel pomeriggio con la medicina. Ma tu ricorda di dargliela regolarmente!”.
Ancora sul fuori strada; si riattraversa il centro della città per arrivare ad un altro quartiere periferico. Altre famiglie povere. Altro stuolo di bimbi che vorrebbero saltare sul fuori strada. Anche qui lebbrosi da medicare. Ce n’è uno di cent’anni, che non sente e non vede più. È ormai un mozzicone d’uomo che non vuole ancora spegnersi: mistero della vita. Nessuno lo pulirebbe e lo nutrirebbe se non fossero i giovani volontari di fratel Vincenzo. Nell’abituro accanto (che differenza c’è con le piccole stalle in cui sono ricoverate capre e galline?), una nonagenaria, anch’essa ormai senza contatti con il mondo esterno. Anche per lei fratel Vincenzo ha una carezza: forse l’unica sensazione di dolcezza che ancora le rimane.
Altro giro, altro regalo: ora fratel Vincenzo corre lungo il barrage che protegge l’acqua che disseta la città. Con la mano indica una serie di campicelli, proprio lungo la diga, li indica con orgoglio. “Vedete? Sono i campi dei lebbrosi. Ciascuno ne ha un pezzo e ci coltiva piante ornamentali, ortaggi, frutta che poi vende. Così ci ricava da vivere con la famiglia…”.

 

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